Il Dandy
Il
Dandy fu il primo aeromodello che costruii, era un kit
della Graupner. Si trattava di un piccolo libratore che
comprai per il volo libero nel ’74 a Parma. Mentre lo
costruivo sul tavolo del soggiorno, l’amico Claudio
Brighenti si “associò” al progetto, ed essendo
appassionato di eletronica non resistette alla tentazione
di acquistare un radiocomando Futaba e una pinna con
motorino Cox per trasformare il Dandy in un
radiocomandato motorizzato. Andammo a collaudare il Dandy
in un campo e, naturalmente, dopo alcuni tentativi
infruttuosi, tornammo a casa con il modello scassato. La
cosa si ripeté più volte, e più volte riparammo il
modello, fino a quando, scoraggiati, ci recammo in un
campo volo a Parma per chiedere consiglio a dei veri
aeromodellisti. In quel campo vidi per la prima volta
alcuni modelli “veri”, c’erano delle riproduzioni che mi
sembrarono inavvicinabili. Oggi mi rendo conto che si
trattava di normalissimi pluri come se ne vedono tanti,
ma allora mi sembrarono dei capolavori ai quali mai avrei
potuto aspirare. Quando mostrammo il nostro Dandy tutto
rappezzato ad un aeromodellista amico di un amico di
Claudio, al quale eravamo stati raccomandati, l’esperto,
dopo averlo soppesato e guardato da tutti i lati disse
-”Beh? ‘Sa gal cal model chi? A part c’l’è un po’ mal
més, al dovrés volèr...”- (Beh? Cos’ha questo modello? A
parte che fa schifo, dovrebbe volare...), e detto fatto
avviò il motorino, lo carburò in un attimo e lanciò in
aria il Dandy con un gesto sicuro. Sotto una guida
esperta il Dandy raggiunse ben presto una quota che non
avrei mai creduto possibile, poi, esaurita la poca
miscela del piccolo serbatoio, iniziò una lunga planata
per atterrare dolcemente sul prato davanti a noi. Ma
allora volava! Non era il modello che non funzionava,
eravamo noi che non lo sapevamo pilotare! L’amico
dell’amico portò di nuovo in quota il modello e ci fece
provare a pilotarlo, ma appena lo prendeva in mano uno di
noi, il modello andava dove voleva lui... Rompemmo le
scatole a quegli aeromodellisti per tutto il pomeriggio,
cercando di capire come si doveva pilotare, ognuno diceva
la sua che era quasi sempre il contrario di quello che un
altro ci aveva appena detto. Alla fine tornammo a casa
con una gran confusione in testa, ma avevamo capito che
il modello volava, e che il difetto era, come si dice,
“nel manico”. Nei giorni seguenti comunque ottenemmo i
primi successi riuscendo a fare qualche primo voletto,
poi col tempo migliorammo ancora un po’. Pilotavamo un
volo a testa, si era così creata una specie di gara a chi
riusciva a fare il volo più lungo. La durata del volo era
determinata dai capricci del motorino Cox, che avolte
finiva tutta la miscela, ma più spesso si spegneva
all’improvviso dopo pochi attimi di funzionamento. Dopo
qualche tempo divenimmo dei veri esperti nella
carburazione ed aggiungemmo un serbatoio supplementare al
motorino per aumentare l’autonomia. Il nuovo serbatoio
era perfino esagerato, infatti il motore si spegneva
sempre prima di finire il carburante. Un pomeriggio, dopo
una serie di voli particolarmente agguerriti e con una
rivalità piuttosto accesa, Claudio ebbe una botta di culo
che mi rese particolarmente ividioso: il motore, battendo
ogni record, continuava a funzionare da un tempo
incredibile e non accennava a spegnersi. -”Non andare
così lontano, animale! Se ti si spegne il motore laggiù
non riesci più a riportarlo quì!”- gli dicevo, -”Taci
invidioso!”- rispondeva lui, -”E’ proprio quello che
speri...-” e mentre continuavamo a brontolare e a
sfotterci il motore all’improvviso si spense. -”Ecco! Te
l’avevo detto! Sei il solito maiale!”- gli gridai
incavolato mentre lui cercava di pilotare in qualche modo
il modello che si didstigueva a fatica e che cadde nei
pressi di un podere. Corremmo attraverso i campi, sempre
litigando e insultandoci l’un l’altro. Arrivati sul luogo
del disastro, mi chinai sul relitto che era finito
nell’orto e si era ridotto piuttosto male...-”Ecco, lo
sapevo! Sei sempre il solito zuccone! Guarda quà! Te
l’avevo detto, ma tu niente! Sei un incapace!”- e mentre
mi stavo sfogando per la vista del Dandy ridotto in
quello stato, Claudio mi guardava, stringendo i pugni e
fremendo a labbra strette, finché, all’mprovviso, saltò a
piedi pari sul Dandy, calpestandolo fino a ridurlo una
poltiglia. -”Ecco, sei contento adesso?”- disse con gli
occhi fiammeggianti.
Ecco, questo era Claudio, non per niente chiamato “il
pazzo” dagli amici. Insieme costruimmo e distruggemmo un
bel po’ di modelli, sempre litigando e sfottendoci a
vicenda, ma sempre divertendoci un sacco.